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Dance In-It a Bhubaneswar, giorno 2: archi, frecce e funghi

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Dance In-It a Bhubaneswar, giorno 2: archi, frecce e funghi

La lezione di Ileana di oggi è dalle 14 alle 16, noi ci troviamo prima a praticare al Siddhi Mandap e a cambiarci e salta il tempo per il pranzo. Aiuto. Posso non dormire ma se non mangio divento malmostosa, nervosa e anche cattiva. Frutta secca, mandorle, datteri, fichi, sono dei veri salvavita. In India il tempo è elastico, si muove a spirali concentriche, non è lineare, a volte lentissimo, a volte si accorcia e oscilla, proprio come un elastico quando lo molli.  A volte per fare una commissione o andare da qualche parte volano via le ore e neanche si capisce come. Un tempo dell’anima, non dell’orologio.

Oggi esploriamo un nuovo passo, sempre ognuna sul posto, non ancora in coreografia. Tendiamo un arco immaginario, la mano sinistra ha mignolo e pollice ben distanziati, il braccio è teso, con la destra è come se legassimo la corda, in basso, e poi la tendessimo portandola sul mignolo che sta sopra, poi pieghiamo il gomito destro portando la mano verso l’orecchio, anulare e indice sono piegati, le altre dita distese in shukatunda mudra. Nel momento in cui tiriamo, l’arco si flette, la mano destra ruota e ora il pollice è in alto. Il movimento dei piedi intanto è sincopato, con cambi di direzione, controtempi, ha qualcosa di molto Graham e molto folk.

I nostri cinque corpi sono molto diversi per tradizioni, esperienze, età, forme. Anche i Bhumi Pranam, i saluti alla madre terra che precedono l’inizio delle lezioni e le chiudono, sono diversi, in 5 ne abbiamo 3 differenti. Ileana ci guarda perplessa, fra qualche giorno ci chiederà di unificarli: Lucrezia e io siamo fortunate perché pratichiamo già quello “giusto”.

Ileana ci racconta qualcosa sul testo su cui stiamo lavorando, un testo del VIII secolo trovato in Nepal, con una traduzione tibetana e poi inglese. La musica per ora è composta di sillabe ritmiche non hanno significato ma imitano il suono degli strumenti. Si chiamano bol e si presentano come ta dhei ta kadataka thei takita dhini. Tutto è fluido, in creazione, sfumato. Come se Ileana si agganciasse a quella fonte di creatività che il viaggio dall’infinito al finito e condividesse con noi le intuizioni che ha afferrato. Ogni tanto mi sento inadeguata, non capisco bene i passi, poi quando siamo girate non vedo nulla e invento. Mi faccio poi trovare nella posizione finale delle altre, che però sono un po’ tutte diverse, come se stessi giocando all’orologio di Milano fa tic toc.

Provando prima ci sono due vantaggi: le zanzare sono meno affamate e finiamo presto, così possiamo, Lucrezia ed io, fare lezione a Palashpalli con il nostro maestro Lingaraj Pradhan. Lucrezia performerà dopodomani all’Odissi International, io sto cercando di mettere più odissi possibile nel corpo e riprendere esercizi, chouka e tribhanga, con noi c’è anche Anne, una ragazza americana che come me aveva mollato l’odissi ma poi… è tornata.

Lo stile è completamente diverso: i passi sono precisi, nitidi, come scolpiti. Non solo. Sono anche detti (piedi in kunchita, mani in mayura), Lingaraj li mostra ingigantendoli, li dice, li ripete e fa ripetere. Fisicamente la lezione è molto impegnativa ma la mente si rilassa, danza su un vuoto di non sforzo. Tutto molto motivante, incoraggiante, serio ma scherzoso. Si ripete finché non migliora. E se non funziona, funzionerà.

La sera ceniamo tutte insieme a Palshpalli. Carlo e Petra hanno la necessità che stiamo insieme per più tempo possibile. Già, questa cosa del documentario è bellissima ma aggiunge un carico di attenzione e di lavoro: non siamo mai sole, abbiamo sempre un microfono peloso e una telecamera che ci seguono. Anche se sono discretissimi e felini, questa cosa esiste ed è impegnativa.

Ceniamo con una zuppa con funghi e verdure che cucina Lu e scegliamo i colori delle sari di domani per amalgamarci e stare bene insieme.